Un argine, una gru, uomini che tirano corde, sollevano una macchina che sta in un lago, che un subacqueo, che emerge lentamente, fa segno di alzare questa macchina bianca con il parabrezza sfondato e una mano che pende dal finestrino, è un morto, è un’acqua morta, è un tempo morto, nel silenzio, in una pausa del tempo, nella fine dei movimenti naturali, annuncia il tempo pulsato o artificiale, un tempo amorfo lento contro ciò che accelera. Lei, sola, in mezzo alla strada, immobili moderni, sotto i grandi riverberi, sotto il sole in bianco verso l’uomo che le va incontro, che lei respinge con una mano per andare a vedere il relitto, si gira verso di lui, che avanza verso di lei, e camminano verso l’argine, si fermano a guardare la macchina che issano, l’acqua che cola lentamente, il ruscelletto fine è una ripresa del tempo, clessidra accidentale. Una fontanella, lei sorride, si volta, gioca con un ramo, e lui le guarda la scollatura, e lei va verso di lui, riparte, che la segue fino all’acqua, e tende la mano verso, devia l’acqua per aspergersi un po’, coglierne il fresco, che lui si mette accanto per aspergerla un po’, che lei corre per fuggire, non più zampillo ma vitalità pulsata, segno di un tempo perso reso possibile da una forza meccanica, un impulso rotativo contro un tempo andato. Lei butta qualcosa in una botte piena d’acqua, un foglio di carta, un pezzo di legno che galleggia sul liquido stagnante che lei fa girare un po’, con la mano, che ritrae poco dopo, arretra, si appoggia, mentre lui le parla, è una stasi, è qui una pausa, un tempo contenuto da, una clessidra futura, un tempo in non ancora. (Traduzione di Massimo Sannelli)